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Dieci giorni fa quando il mondo festeggiava la giornata mondiale della pace, mentre una giovane vita di una donna in Iran veniva spezzata per un crimine senza senso, la 22enne Mahsa Amini veniva uccisa per non aver indossato nella maniera giusta  lo hijab.

La polizia religiosa che aveva fermato la ragazza insieme alla sua famiglia, aveva deciso che la giovane donna era colpevole, perché dal velo spuntavano alcune ciocche dei suoi capelli. La ragazza era in viaggio dal suo paese natale una provincia del Kurdistan verso Teheran per andare in visita di parenti che vivevano nella Capitale, quando durante un controllo è stata arrestata. I suoi carcerieri avevano detto ai genitori che la ragazza sarebbe stata in carcere per 3 giorni perché che aveva commesso un errore e doveva redimersi, la polizia avrebbe riferito la famiglia, li aveva rassicurati che sarebbe stata rilasciata dopo una “sessione di rieducazione”, ma purtroppo appena presa in custodia l’hanno ammazzata di botte, ci sono immagini che la ritraggono in terapia intensiva piena di tubi, la versione ufficiale della polizia iraniana è stata che la ragazza è morta di infarto.

I genitori stavolta non sono rimasti inermi ma soprattutto in silenzio, ed hanno dimostrato che la loro ragazza non soffriva affatto di cuore. La storia di Mahsa ha scosso il popolo iraniano, soprattutto le giovani donne che sono scese in piazza senza veli e hijab, ma anzi gli hanno dato fuoco, sfidando un governo padrone. Sono ormai dieci giorni che le proteste avanzano e continuano in Iran, dalle periferie più profonde alle grandi citta, è ieri sera purtroppo le vittime di queste proteste sono arrivate a 41. I poliziotti ieri sera hanno ammazzato colei che era diventata un po’ il simbolo di questa protesta, quella che i media avevano ribattezzato la ragazza dalla coda,  ieri sera è morta perché raggiunta da sei proiettili, la cattivissima criminale era una ragazzina di 20 anni che come armi aveva solo i suoi lunghi capelli biondi che raccoglieva in una coda con un elastico prima di iniziare le proteste, e il sogno di poter essere chi voleva senza dover dare spiegazione ad uno stato tiranno. Nel corso delle proteste, i manifestanti hanno lanciato pietre, incendiato automobili, edifici e cartelloni pubblicitari per strada e intonato il coro «Morte al dittatore», rivolto ad Ali Khamenei, la Guida suprema dell’Iran, cioè la principale figura politica e religiosa del paese e rappresentante dell’ala più intransigente e conservatrice del regime. Hanno partecipato moltissime donne e uno dei loro gesti di protesta più ripetuti è stato quello di togliersi il velo: alcune lo hanno bruciato e altre si sono tagliate pubblicamente i capelli in segno di protesta. La repressione è stata durissima: in alcuni casi la polizia ha sparato verso le finestre delle case e lanciato lacrimogeni negli appartamenti. Oltre ai manifestanti uccisi ci sono state centinaia di arresti, testimoniati anche da immagini e video che sono circolati nonostante un blocco di Internet imposto dallo stato in gran parte del paese, Elon Mask ha messo a disposizione un suo satellite per evitare che le donne iraniane si sentissero sole in queste proteste. Il presidente iraniano, l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, ha fatto capire molto chiaramente di non essere intenzionato a cambiare approccio e di voler continuare a reprimere le proteste con l’obiettivo di annullarle. Le proteste più dure e intense si stanno tenendo soprattutto nel Kurdistan iraniano, la regione da cui proveniva Amini e in cui le manifestazioni si sono trasformate in una rivolta contro le discriminazioni che da tempo il regime attua contro la minoranza curda: sono contestazioni che «non riguardano solo il velo», ha detto al New York Times Hana Yazdanpana, portavoce del gruppo paramilitare Partito della Libertà del Kurdistan: «I curdi vogliono la libertà». Ad annunciare la morte della ragazza simbolo di queste proteste è stata la giornalista Masih Alinejad sul suo profilo Twitter: “Sua sorella mi ha detto che aveva solo 20 anni ed è stata uccisa da 6 proiettili nella città di Karaj”. Sarebbe stata raggiunta da sei proiettili al petto, al viso e al collo. Un omicidio dunque cercato e perseguito per mettere fine alla sua ribellione. In Iran non è la prima volta che ci sono manifestazione contro il comportamento oppressivo dello stato che lede tutti i diritti delle donne, il 12 luglio scorso il governo ha proclamato la Giornata nazionale dell’hijab e della castità e le donne iraniane, già provate da mille limitazioni, hanno perso la pazienza. La scrittrice Sepideh Rashno, per essersi unita alle proteste, è stata arrestata e torturata per costringerla a scusarsi in diretta tv. Tutto sembra mettere in luce la fragilità di un sistema che comincia a non piacere più tanto neanche agli uomini. Sarebbe veramente ironia della sorte se in Iran accadesse il miracolo che restituisce alle donne i loro diritti, mentre nei paesi che lo condannano da più di 40 anni si vanno erodendo giorno dopo giorno. A sostegno delle proteste in Iran negli ultimi giorni si sono tenute manifestazioni anche in molte altre città del mondo, tra cui Londra, Atene, Berlino, Bruxelles, Roma, New York, Parigi e Madrid.